Siamo in un'aula di tribunale di una città meridionale. Esattamente in Corte
D'Assise. Si vedrà dietro le sbarre, un uomo, marcatamente rozzo, che non appena
entrato, dopo lo sguardo di meraviglia verso il pubblico e dopo aver salutato
alcuni suoi amici, stende accuratamente sulla panca un largo e vistoso fazzoletto
rosso, per non sporcarsi, sedendo, l'abito delle feste, di greve velluto, come se
il processo che si sta per svolgere non lo riguardasse. Il pubblico dell'aula
(che sarà il pubblico della sala dove si saranno mimetizzate alcune
comparse), a volte riderà, a volte applaudirà, a volte deriderà l'imputato.
Siamo in piena estate, e lo si capirà dal continuo asciugarsi con il fazzoletto,
da parte del presidente, dei consiglieri e dell'avvocato difensore.
AVVOCATO: (Rivolto al pubblico, come per un'arringa difensiva) Signore e
signori, eccovi qua un uomo che dovrà essere giudicato dalla giustizia, la quale
si sa, ha le sue regole. Le sue forme e la sua impalcatura, dalle quali non può
prescindere.
Voi, invece, dovrete giudicarlo secondo vostra coscienza, potendo fare a meno di
tutto codesto apparato. Evidentemente, il verdetto, sarà del tutto simbolico e
non potrà modificare, quello vero formale della giustizia, la quale seguirà
inesorabilmente le sue regole. Ma il vostro dovrà essere un giudizio umano, che
dovr tenere conto, della condizione sociale, culturale di quest'uomo e della sua,
per quanto rozza controproducente spontaneità. Ma non voglio influenzarvi oltre.
Seguiamolo attentamente e ascoltiamo.
PRESIDENTE: Prego l'imputato di alzarsi.
TARARA': (guardandosi attorno e puntando il dito in petto, come per dire "io?"
) Si... si... sissignore.
PRESIDENTE: Come vi chiamate?
TARARA': Tararà, signore. (risate del pubblico)
PRESIDENTE: Ma questo è il vostro nomignolo! Noi vorremo sapere qual è il vostro
vero nome.
TARARA': Ah, sissignore, scusate Eccellenza. Argentu, Saru Argentu, per servirla,
Eccellenza. Ma tutti mi conoscono per Tararà!
PRESIDENTE: Va bene, va bene. Quanti anni avete?
TARARA': (imbarazzato) Ma... Eccellenza, veramente, non lo so...
PRESIDENTE: Come, non lo sapete?
TARARA': (stringendosi nelle spalle, come se la domanda fosse inutile)
Abito in campagna, Eccellenza. Chi lo sa, chi ci pensa. (risate del
pubblico)
PRESIDENTE: (cercando spazientito tra le sue carte) Siete nato nel 1903.
Dunque, avete trentanove anni.
TARARA': (allargando le braccia, come per rimettersi alla volontà del
presidente) Come comanda vostra Eccellenza... (nuove risate del
pubblico)
PRESIDENTE: (scotendo il campanello, alle risate) Va bene, va bene. Ora
rispondete, semplicemente con un si o con un no alle mie domande. Voi, abitate
nel vicolo dell'Arco di Spoto, alla periferia di questa città, è vero?
TARARA': Si. Vero è.
PRESIDENTE: E Rosaria Femminella, era vostra moglie, è vero?
TARARA': Sissignore.
PRESIDENTE: E fino al momento della sua morte, viveva sotto il vostro stesso
tetto? (poi capendo che Tararà non ha compreso) Cioè abitavate nella
stessa casa, è vero?
TARARA': Come dice vostra Eccellenza è.
PRESIDENTE: E adesso sedete. Ora sentirete dal signor cancelliere di cosa siete
accusato.
CANCELLIERE: Voi siete accusato di aver ucciso, con un colpo di accetta, la
mattina del... (le parole vanno sfumando e si vede solo il movimento delle
labbra del cancelliere che continua a leggere l'atto d'accusa, mentre l'avvocato
si rivolge la pubblico)
AVVOCATO: Lasciamo che il signor cancelliere legga il suo atto d'accusa e
fermiamoci un momento, cercando di penetrare nella personalità dell'imputato.
Quest'uomo, lo vedete tranquillo, come se il discorso non gli appartenesse. E'
vero? Ebbene, si!
Nella beata incoscienza delle bestie, quest'uomo non ha ombra di alcun rimorso.
Perché deve rispondere ad altri di una cosa che riguarda solo lui, non capisce.
Accetta e subisce l'azione della giustizia, come una fatalità a cui non può
scansare. Per lui, nella vita c'è la giustizia, come per le campagne c'è una
cattiva annata. Pertanto bisogna rassegnarsi a ciò che fatalmente non si può
evitare. Per conto suo, sa di aver spaccato la testa, alla moglie, con un
colpo di accetta, perché ritornato a casa, fradicio d'acqua dalla campagna, aveva
trovato un grosso scandalo nel vicolo dell'Arco di Spoto, dove abitava. Poche ore
prima, sua moglie era stata sorpresa in flagrante adulterio insieme col
cavaliere, don Agatino Fiorica.
Ed era stata la stessa moglie del cavaliere, che aveva guidato di persona, il
delegato di pubblica sicurezza e le due guardie di questura, nel vicolo dell'Arco
di Spoto.
E la verità non si era potuta nascondere, perché sia il cavaliere che la moglie
di Tararà, erano stati trattenuti in arresto in questura, per tutta la notte.
E appena, Saru Argentu se l'era vista comparire, zitta zitta davanti all'uscio di
casa, le aveva spaccato la testa, prima che potesse intervenire qualcuno del
vicinato. Ora. Quest'uomo starà sicuramente pensando: "ma che cosa sta a
leggere questo benedetto cancelliere?..." (si allontana l'avvocato e
riprenderà il presidente).
PRESIDENTE: Imputato Argentu, avete sentito di cosa siete accusato?
TARARA': (ondeggiando la mano aperta, come per dire di non aver inteso bene il
discorso) Eccellenza, per dire la verità, non ci ho fatto molto caso...
PRESIDENTE: (severamente e spazientito) Siete accusato di aver
assassinato con un colpo di accetta, la mattina del 10 Dicembre 1941, Rosaria
Femminella, vostra moglie. Che avete da dire in vostra discolpa? Rivolgetevi ai
signori giurati e parlate chiaramente e col dovuto rispetto della
giustizia!
TARARA': (portandosi la mano al petto, come per dire che non era sua
intenzione di mancare di rispetto ad alcuno) Veramente... io...
PRESIDENTE: Su, insomma, dite! Dite ai signori giurati quel che avete da
dire!
TARARA': (stringendosi nelle spalle) Ecco, Eccellenza. Loro signori sono
alletterati e quello che sta scritto in quelle carte lo avranno capito. Io abito
in campagna, Eccellenza... Ma se in quelle carte sta scritto che ho ammazzato mia
moglie, è la verità. E non se ne parla più! (il pubblico scoppia in una
fragorosa risata)
PRESIDENTE: Non se ne parla più? Non se ne parla più? Aspettate a sentire, caro
mio, se' se ne parlerà...
TARARA': Intendo dire, Eccellenza... (si mette la mano sul petto) Intendo
dire, che l'ho fatto... ecco! E basta... l'ho fatto... si, Eccellenza, e mi
rivolgo pure ai signori giurati, perché... perché non ne ho potuto fare a meno,
ecco! E basta!... (nuove risate del pubblico, il presidente interviene
scrollando furiosamente il campanello)
PRESIDENTE: Serietà! Serietà! Signori. Serietà! Ma dove siamo? Qui siamo in una
corte di giustizia! E si tratta di giudicare un uomo che ha ucciso! Se qualcuno
si azzarda un'altra volta a ridere, farò sgombrare l'aula! E mi duole di dover
richiamare anche i signori giurati a considerare la gravità del loro
compito.
AVVOCATO: (venendo alla ribalta) Ecco, voi ridete... I giurati ridono...
ed anche il consigliere e l'uscire non possono frenare un accenno al sorriso, ed
intanto si sta per giudicare un uomo!
Tararà poveretto, non si accorge di essere stretto nella morsa inesorabile della
giustizia. Per lui, anzi, è quasi una festa.
Una di quelle feste di paese, dove si incontrano tutti gli amici e ci si scambia
segni di saluto, si fanno quattro chiacchiere sul raccolto, si beve assieme un
bicchiere di vino e si approfitta per mettere in mostra l'unico abito delle
occasioni. Un pesante abito di velluto, che farebbe sciogliere come sugna
ciascuno di voi, di noi.
Lui, invece, non avverte le mosche che gli si appiccicano addosso testarde e lo
tormentano. In quest'afa opprimente, in questo fragore di risate e di parolone
difficili... lui è tranquillo... sereno... quasi vincitore... non vinto!
PRESIDENTE: (rivolto all'imputato, con austerità) Che intendete dire, voi,
che non ne avete potuto fare a meno?
TARARA': (sbigottito al sopravvenuto silenzio) Intendo dire, Eccellenza,
la colpa non è stata mia...
PRESIDENTE: Ma come?... Non è stata vostra?...
AVVOCATO: (rivolto al presidente) Perdoni, signor Presidente, ma così
finiremo con l'imbalordire questo pover'uomo! Mi pare che egli abbia ragione di
dire che la colpa non è stata sua... ma della moglie che lo tradiva col cavaliere
Fiorica!... E' chiaro!
PRESIDENTE: Signor avvocato, prego... lasciamo parlare l'accusato. (rivolto
all'imputato) E voi, Tararà, intendete dire questo?
TARARA': (negando prima col gesto del capo, poi con l'indice, poi con voce
decisa) Nossignore, Eccellenza. La colpa è stata delle signora... della
moglie del cavaliere Fiorica, che non ha voluto lasciare le cose quiete... Che
c'entrava, signor presidente, andare a fare uno scandalo così grande davanti alla
porta della mia casa... che financo le pietre delle strada, signor presidente,
sono diventate rosse dalla vergogna!... A vedere una persona rispettabile, come
il cavaliere Fiorica, che tutti sanno che signore è, trovato li... (quasi
dispiaciuto) in maniche di camicia e con i pantaloni in mano, signor
presidente, nella tana di una sporca contadina. (ora quasi piangendo) Dio
solo lo sa, signor presidente, quello che siamo costretti a fare per procurarci
un tozzo di pane...
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